Confine. Parola eclettica, evocativa, che ricorda mille altre parole. Tutte diverse, tutte vicine, che fanno pensare, sognare, immaginare un mondo che non c’è. Il primo confine che viene in mente è quello geografico. E già divide, separa ciò che non dovrebbe.
A primavera inoltrata si rinfresca la casa, si riaprono finestre, si lascia entrare il tepore dei raggi solari fra le mura ingrigite e intristite dal freddo invernale. Ad un armadio 4 stagioni si spalancano le ante, lasciando che un fresco zefiro penetri fra tessuti ed indumenti. C’è di tutto.
Pioggia battente. Pioggia veemente. Folate violente. Folate di vento. Attraversano l’aria strappando rami di fresca primavera. Peccato che la pioggia cada per forza giù. La forza di gravità le attira come calamita a battere sulla terra. Un viaggio che dalle nuvole è ora pesante, ora quasi evanescente.
Perchè il mondo va così, sembra un’assurdità, ma va.
Ogni individuo, unico e irripetibile contiene un mondo. Un luogo sconosciuto, inesplorato, spesso a se stesso. L’unicità è lo splendore di ognuno. Il mondo va nelle sue unicità.
I mondiali di calcio in Sudafrica sono iniziati e continuano al suono delle vuvuzelas. Fiato alle trombe! O meglio alle vuvuzelas. Piaccia o no, quel ronzio costante come uno sciame di mosconi in volo (ma dicono imiti il barrito degli elefanti) è la colonna sonora del Mondiale giocato nella nazione arcobaleno.