Il Madrigale, la Caccia e la Ballata
Mentre in Italia si va affermando la poesia del Dolce stil novo e fioriscono i geni di Dante, Petrarca e Boccaccio, nascono anche nuove forme musicali. L’esperienza dei trovatori, assieme alla riscoperta del repertorio popolare che la nascente classe
borghese colta non ha dimenticato, dà vita, con l’Ars nova fiorentina, alle tre grandi forme polifoniche profane del madrigale, della caccia e della ballata.
Con il ritorno del papa a Roma, avvenuto nel 1377, Avignone cessa di essere il polo di attrazione degli artisti europei. Da questo momento i più valenti musicisti, soprattutto fiamminghi, convergono in Italia, al servizio non solo della cappella pontificia ma anche dei principi e dei porporati delle più importanti città. E’ un apporto di stili e di esperienze nuove destinato a influenzare tutta la musica del secolo successivo.
Il madrigale, il cui argomento trae ispirazione da scene pastorali e agresti, ha la sua prima patria a Firenze e il suo maestro in Francesco Landino (1335-1397). Il nome della composizione – a due voci e non più lunga di otto versi, vale a dire due terzine e un distico – sembra derivare dalla parola mandriale (“mandria”). Il madrigale trecentesco non deve essere confuso con il madrigale rinascimentale, forma polifonica complessa a più voci.
La caccia è un componimento a movimento veloce. Essa decrive scene di caccia o di mercato, con grida, richiami che si inseguono – si “cacciano” – e si imitano a vicenda, con un caratteristico andamento concitato. Questa composizione precorre e prepara il terreno allo sviluppo successivo della fuga.
La ballata, a schema ritmico molto semplice, generalmente a tre voci, è, delle tre forme, la più popolare. In essa fa spicco una melodia principale, quasi come nelle moderne canzoni, mentre le altre due voci hanno funzione secondaria e molto spesso sono affidate a strumenti.