Un treno per salire verso nord (Racconto 1 parte)
Era necessario prendere un treno per salire verso nord. Era assolutamente necessario, non c’era scelta, la strada da percorrere saliva verso nord.
Piccola dodicenne Nora Lisa, ingenua e, per certi versi, già conoscitrice delle sconcezze della vita. Un viso rotondo, incorniciato da un sottile strato di finissimi, sottilissimi capelli, con le guance pienotte. Uno strano naso, lungo, dalla punta all’insù e le narici in fuori, occhi vividi dal fondo verde oliva, che cambiavano colore a seconda del tempo atmosferico, fino a divenire castani nelle giornate uggiose di pioggia. Con un delizioso sorriso, con quegli incisivi imperfetti sovrapposti a coniglietto, che le donavano ancora di più l’aria sbarazzina e stramba di una semplice dodicenne. Doveva prendere un treno per salire verso nord, ma non da sola.
C’era Valerì, sua madre, con lei. Teneva, da un lato saldamente sottobraccio Nora Lisa e la conduceva verso i binari, mentre dall’altro pareva trasportare, senza fatica, una valigia rigonfia vecchio stile. Passo lesto, quello di Valerì, spedito, fiero, determinato. Doveva prendere quel treno per salire verso nord, era per lei, per la sua bambina, per Nora Lisa, non doveva sbagliare e non doveva arrendersi. Sarebbe arrivata fino ai confini del mondo e anche oltre, pur di non perdere quel treno. Andava per salvarla, andava perchè al nord c’era la speranza, andava perchè era sua madre. La piccola aveva bisogno d’aiuto, di protezione, di cura, di sollievo, di serena giovinezza. Valerì ripensava al giorno in cui era stato facile, quando c’era il personale della Croce Rossa che le anticipava lungo il tragitto. Scortate da un gruppo di forze dell’ordine. Quella volta trasportava la valigetta frigo contenente la preziosa sostanza ematica prenotata a costo di grandi sacrifici e che assolutamente non doveva subire traumi. Allora era stato tutto facile, calcolato, tutto prenotato, non aveva avuto bisogno di farsi largo. Erano state trattate con i guanti bianchi: carrozza centrale del treno, scompartimento centrale, posto esclusivo prenotato, nessuno che disturbasse, tutto perfetto. Stavolta era diverso. Doveva fare da sola.
Mio Dio! Il treno era straboccante di umanità.
Completamente strapieno, ma a Valerì non mancava il coraggio e il piglio di chi non ha nulla da perdere. Nora Lisa è sicura, nonostante sembri una statua camminante. Sì, perchè Nora Lisa si portava appresso una strana armatura di gesso. Gesso spesso un dito, che le rivestiva il corpo, lasciando allo scoperto solo la parte anteriore della testa, le braccia e le gambe. Pesante, fastidioso, antipatico gesso nascosto, nella parte anteriore all’altezza della gola, da un foulard che copriva la zona sotto il mento, permettendole di mantenere la distanza fra pelle e materia inerte. Sembrava un attendente militare con quella divisa di gesso che le teneva dritto e fisso il mento in su e un passo barcollante come un essere mezzo robotico e mezzo giocattolo con la carica a molla.
Lo sguardo di ognuno si posava su di lei, fra commiserazione, curiosità, costernazione, con una sorta di atteggiamento tra pietà e rispetto.
E’ Valerì che però guarda avanti, vede ma fa finta di non vedere. Smanaccia a destra e a manca con quelle mani callose di chi lavora duramente la terra e gentilmente chiede asilo, ristoro, posto. Attraversando carrozza dopo carrozza apre uno dopo l’altro ogni scompartimento:- Buonasera, scusate, per favore, c’è un posto per mia figlia? Non può restare in piedi molto tempo e il viaggio è lungo -. E così dicendo si scosta e lascia intravedere ai passeggeri Nora Lisa che, come statua di gesso guarda i viaggiatori, immobile, fra il corridoio e la porta scorrevole dello scompartimento.
Quanta umanità! Alcuni non alzano nemmeno lo sguardo, altri accennano un’occhiata e tornano ai loro pensieri, altri ancora si girano guardando verso il finestrino. La signora chic, trucco e belletto, avvolta nell’abito ultimo grido, noncurante, gambe accavallate, sfoglia la successiva pagina del libro che ha davanti. Si comprende benissimo cosa vuole dire con le sue mani, dalle unghia curate e dipinte di rosso carminio, quando atteggia lo sfoglio della pagina, aggiungendo il viso che ruota appena, soltanto per seguire il movimento della carta.
– Grazie, Buonasera-. risponde Valerì al silenzio gridato forte da quella umanità.
E, con un colpo sordido, fra lo sferragliare del treno, fa scivolare la porta scorrevole dello scompartimento e prosegue senza lasciar trasparire nessuna rabbia e nessuna resa.
(Rosalina)