Contraddizioni – Scuola Legale vs Scuola Reale
In questi ultimi tempi, molte sono state le voci che si sono alzate nei confronti della scuola, di diverso genere e pensiero. Quello che di seguito viene pubblicato appartiene ad una personalità che dell’argomento ha piena consapevolezza essendone un valido esperto.
"La visione della scuola da via Trastevere o dalla prospettiva di chi nella scuola lavora quotidianamente sono spesso state diverse. La scuola ideale, rappresentata e immaginata nei documenti ministeriali, molte volte si è allontanata dalla scuola reale, fino ad apparire qualcosa di estraneo incapace di mettersi in relazione con le pratiche formative e didattiche vissute in aula. pensiamo, ad esempio, al tema dell’integrazione degli allievi con disabilità: spesso l’immagine della scuola italiana emergentedai testi normativi o progettuali, presi anche come modello da altri paesi, è risultata molto distante dalle fatiche, dalle contraddizioni, dagli interessi che caratterizzavano le pratiche reali. Negli ultimi tempi, però, si assiste ad una escalation preoccupante di tale divario: mai come ora si coglie con estrema evidenza una frattura insanabile tra le due prospettive, un abisso incolmabile fra la scuola legale e la scuola reale. Anzi, potremmo dire che la scuola reale non è più in relazione con chi la governa: si sente abbandonata, trascurata, derisa, disprezzata. Diversi segnali negli ultimi mesi hanno contrassegnato questa escalation: il rifiuto generalizzato a progetti sperimentali del Ministero sulla valutazione del merito, le esternazioni dei rappresentanti del governo contro la scuola statale in mano ad impenitenti settantottini, lo sciopero bianco nei confronti delle gite e delle uscite scolastiche; ormai il potere politico e gli operatori della scuola sono due mondi separati, che non si parlano e possono solo incolparsi e sbeffeggiarsi reciprocamente.
Le ragioni di questa incomunicabilità?
Una politica sistematicamente volta a dissanguare la scuola statale, a delegittimarla socialmente, a rappresentarla come una corporazione arroccata in difesa dei propri interessi e nostalgicamente rivolta verso il passato. Qualche piccolo esempio, senza alcuna pretesa di completezza: la crociata contro i fannulloni del ministro Brunetta, i tagli alle risorse umane ed economiche, le previsioni di funzionamento non onorate, i ritardi nel dar corso alle politiche di formazione iniziale e di reclutamento (vedi concorso per Dirigenti scolastici), le accuse del ministro Gelmini alle resistenze verso il cambiamento della classe docente, le esortazioni del Premier nei confronti della libertà intesa come: "possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato, dove ci sono gli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori.
Quali le conseguenze di questa incomunicabilità, che è forse il lato più interessante da cui vedere la frattura tra scuola legale e scuola reale? L’immagine forse più efficace per rappresentare la condizione attuale della scuola, è quella di una nave alla deriva, senza un comando e con un equipaggio scoraggiato e sulla via dell’ammutinamento.
Chiunque viva quotidianamente nella scuola coglie il clima dominante di disaffezione e mortificazione, che si colora diversamente in relazione alle diverse sensibilità con toni fra il sarcastico, lo stanco, l’arrabbiato, il cinico, il disperato, il disilluso, l’amareggiato, eccetera.
Ciò che prevale è il sentirsi traditi dal potere politico, il percepire, il venir meno di quella dialettica tra vertice e periferia, magari accesa, ambivalente, conflittuale, ma comunque viva. La scuola statale e chi ci lavora sono diventati da un lato una zavorra sociale, il residuato di una vecchia idea di stato assistenziale e improduttivo, dall’altro un pronto soccorso su cui scaricare le contraddizioni di un tessuto sociale a brandelli: emergenza stranieri, disagio sociale, riduzione dei servizi alla persona, fragilità delle politiche formative degli enti locali e così via.
In mezzo, tra il profugo e l’infermiere, c’è l’insegnante sempre più disorientato e confuso, incapace di trovare un punto di incontro tra la propria esperienza quotidiana e l’immagine di scuola emergente dalla comunicazione sociale, tra la propria fatica professionale e personale e il disinvestimento culturale ed economico della scuola, tra i significati attribuiti al proprio ruolo e quelli suggeriti dalle esternazioni dei rappresentanti del potere politico.
In una parola, tra scuola reale e scuola legale".
Fonte: Mario Castoldi – Comitato Direttivo quindicinale "Scuola Materna dell’Infanzia" Editrice La Scuola – Brescia – n. 19/2011
(Rosalina)