Il melodramma e l’ oratorio
Mentre la musica sacra conosce durante il barocco il suo momento di massimo splendore, quella profana ci offre l’esempio più significativo degli ideali barocchi: si tratta del melodramma che, nato per i gusti sofisticati dell’aristocrazia colta, si diffonderà in breve tra i vasti ceti della media e piccola borghesia.
Questo nuovo genere d’arte, il melodramma, riunisce in sé la pittura, l’architettura, la danza, la poesia, il canto, la musica; è un’invenzione che sembra fatta apposta per suscitare la più alta meraviglia ed è in fondo la sintesi più completa della vocazione barocca per tutto ciò che è grandioso e nello stesso tempo drammatico.
Quasi insieme al melodramma sorge una forma di canto religioso monodico e popolare – favorito dalla Chiesa di Roma in contrapposizione al corale luterano – che, ispirandosi alle laudi spirituali e sulla tradizione del dramma liturgico, dà vita all’oratorio.
L’oratorio riunisce in sé – vera sintesi delle inquietudini seicentesche – il gusto profano del teatro e il senso mistico della preghiera, ed ha il suo grande maestro in Giacomo Carissimi (1605-1674). Esso ha le sue radici nel profondo misticismo della lauda spirituale umbra e nelle spontanee rappresentazioni che il popolo organizzava in quei luoghi attigui alle chiese, detti ancor oggi oratori.
L’oratorio ha il grande merito di aver assimilato e trasformato le semplici espressioni della creatività popolare in una perfetta forma d’arte.
Per il suo profondo contenuto di umanità e spiritualità, l’oratorio è solo musica e canto. L’azione si chiarisce infatti attraverso il recitativo e le arie dei solisti (i personaggi), e il coro, che rappresenta il popolo. A volte una voce, che viene chiamata hystoricus – colui che narra la storia – espone le brevi frasi necessarie a comprendere la situazione e i legami tra i vari episodi.