La lauda
Pressoché nello stesso periodo in cui l’aristocratica canzone trovadorica si diffondeva nei castelli e nelle corti di Francia e Germania, fiorivano in Italia le laude, canzoni popolari di ispirazione religiosa.
Queste canzoni venivano eseguite all’unisono dal coro dei fedeli durante le processioni ed erano, come dice la stessa parola lauda, che deriva dal latino laus, “lode”, canti di lode per la Madonna, per Gesù Cristo o per qualche personaggio del Vangelo.
Col tempo le laude si trasformarono in vere e proprie narrazioni cantate a due o più voci, in forma di dialogo, vere anticipazioni di quello che alcuni secoli sarà l’oratorio. Le raccolte di laude – dette laudari – sono fortunatamente numerose e offrono una documentazione abbondante e preziosa di questo originalissimo prodotto dell’arte medievale.
La lauda è l’espressione musicale più autentica e popolare della religiosità medioevale, «…la canzone che i poeti religiosi affidavano al popolo, cercando di farsi popolo, come un maestro cerca di farsi intendere dai fanciulli e ne assume il tono» (F. Flora).
Il gusto popolare ebbe il merito di introdurre elementi nuovi per il canto liturgico, saldamente ancorato al severo stile gregoriano: la scansione ritmica, i periodi melodici più o meno simmetrici e una vocalità tipicamente italiana, ben diversa da quella gregoriana e da quella dei trovatori d’oltralpe.
Carta d’identità della lauda
è monodica;
pur basata sui modi gregoriani, preannuncia vagamente il senso della tonalità moderna;
raramente accompagnata da strumenti;
ritmo misurato;
la melodia precede per intervalli anche ampi;
la melodia si sviluppa in un’estensione ampia;
il testo è in lingua volgare;
la canzone è divisa in periodi melodici generalmente simmetrici.