Re Carnevale – Leggenda Calabrese
Re Carnevale, sovrano forte e potente, governava un vasto regno con saggezza e somma giustizia. Le porte del palazzo erano sempre aperte e chiunque poteva entrare nelle cucine della reggia, fornitissime di cibi prelibati e saziarsi a volontà. Ma i sudditi, invece di rallegrarsi di avere un sovrano così
generoso, approfittarono del suo buon cuore e a poco a poco si presero tanta confidenza, da costringere il povero re a non uscire più dal suo palazzo per non essere oggetto di beffe e insulti. Egli allora si ritirò in cucina e lì rimase nascosto, mangiando e bevendo in continuazione.
Ma un brutto giorno, era sabato, dopo essersi abbuffato più del solito, cominciò a sentirsi male. Grasso come un pallone, il volto paonazzo e il ventre gonfio, capì che stava per morire: la sua ingordigia lo aveva rovinato.
Tutto sommato era felice per la vita allegra che aveva condotto, ma non voleva andarsene così, solo, abbandonato da tutti, proprio lui, il potente Re Carnevale…
Si ricordò, allora, di avere una sorella, una bella donnina fragile e snella, un po’ delicatina, ma sempre pulita e profumata (eh sì, era davvero diversa quella sorella di nome Quaresima!) che lui, un giorno, aveva cacciato di corte. La mandò a chiamare e lei, Quaresima, generosa, accorse; gli promise di assisterlo e di farlo vivere altri tre giorni, domenica, lunedi e martedì, ma in cambio pretese di essere l’erede del regno.
Re Carnevale accettò e passò gli ultimi tre giorni della sua vita divertendosi il più possibile.
Morì la sera del martedì e sul trono, come precedentemente avevano stabilito, salì Quaresima; prese in mano le redini del regno e governò il popolo con leggi dure e severe, ma in fondo benefiche.
Divagazione Dialettale
L’ALLEGRIJE DE CARNEVALE
Care Carnevale te stemme aspetta!
Chest’anne che vu purtà?
Tu stie felice e spijnsijerate
nu aspetteme chiacchijere e cicerchijate!
A mè, me pare cha nen te nen ‘mpicce.
Che ti fà, forse nu capricce?
Nen pensà abbuffarte sole tu
e nu je lijesse come li cucù!
Jamme, vije all’ammpresse
prime che cacchedune te fa fesse.
Porte canzune, balle e allegrije
accuscì s’areunisce le cumpagnije.
La Quareseme fa subbete arrivà,
avesseme aremanè gne le baccalà!
(Rosalina)