Se un viso non comprende
C’è aria di tempesta.
C’è un uomo laggiù in fondo.
Incurante della pioggia battente
e dei lampi che accecano
e illuminano il cielo nero,
va solitario.
Incrociandolo
riconosco un volto familiare,
stanco.
Occhi vividi,
ma sguardo nel vuoto.
… E quella pioggia…
Insistente…
Come colla
attacca i capelli
su quel viso.
Sorrido, lo accarezzo…
e dico:- Vieni!-.
E lui:- Ma tu… Dove vai?!-.
Guardare, scrutare, osservare un viso. Percezioni di anima che, attraverso l’aggrottarsi di sopracciglia e il distendersi di una ruga, raccontano un’anima. Eppure sono sempre gli stessi occhi, lo stesso naso, le stesse labbra, le stesse guance, gli stessi capelli che lo incorniciano. C’è, comunque, diversità. Già. A seconda di come l’anima risponde e di quanto ognuno di noi riesce a leggere. Non sempre si legge un viso. Il viso… Specchio o paravento di anima. Si trasmette o si nasconde. Non lo riconosci sempre. Anzi, il dubbio se possa appartenere sempre alla stessa persona, a volte diventa angosciante. Come il poeta scrive "M’illumino d’immenso". Comprendi certe parole quando le incontri veramente, quando le senti profondamente, quando sono parte incontrovertibile di te.
Un viso parla e racconta, s’intristisce e s’arrabbia, gioisce e si stanca, s’accarezza e s’incupisce, si distende e si riposa, s’abbraccia e si schiaffeggia, dimentica e ricorda, guarda e sogna, cancella e desidera, nasconde e scopre, si cerca e s’immagina, s’imprigiona e si libera, si cerca e si trova, s’allontana e s’avvicina, s’offende e si perdona, si perde e si ritrova, si condanna e si salva, giudica e comprende. All’infinito un viso, fra una infinità di altri visi. Incessantemente sfuma e riappare. Si ferma, irremovibile. S’aggrappa fra aguzze rocce di solitudine per restare all’infinito, come rampone di alpinista, fra salde prese su costoni di impervia montagna.
(Rosalina)