Invano, il sonno e la veglia
Invano chiedi alle tue palpebre d’abbassarsi sulle finestre del sonno.
Invano chiedi di allontanare i pensieri, di scappare, fuggono, ma tu li rincorri.
Invano chiedi ai tuoi occhi d’assopirsi e dici al tuo stomaco di smettere di stringersi nella morsa che attanaglia.
Invano chiedi ai tuoi occhi di spegnere quelle lacrime che bruciano sulle guance, che bagnano una pelle che ormai non sai più di che colore è.
Invano chiedi ai tuoi occhi di non vedere attraverso di essi, lo fanno lo stesso, anche se non vuoi.
Invano chiedi ai tuoi occhi d’addormentarsi, hanno perso il tempo del sonno.
Invano chiedi al tuo corpo di stendersi, di ammorbidirsi, di diventare cuscino, non può.
Non può farlo se gli occhi continuano a restare aperti. Aperti sull’anima. Non possono chiudersi, non possono. Non vogliono, non sanno.
Invano chiedi ai tuoi occhi di regalarti un’ora di sonno mentre l’orologio sembra non camminare mai.
Invano quegli occhi pensano di incontrare un sole. Di incontrare un fiume. Di incontrare un sogno.
Invano chiedi a quegli occhi di chiudersi sulle porte della fantasia.
Invano domandi pietà a quegli occhi che ti lascino andare nell’oblio.
Invano lascerai quegli occhi.
Invano sonno a cui chiedi abbandono rispondendoti con una veglia indisponente che non si ammansisce.
Invano agogni il sonno febbrile che ti strappa la coscienza togliendoti la lucida veglia.
Invano la veglia raggiunge il sonno, lo scaccia, lo annienta, lo mangia, lo distrugge.
Invano la veglia concede possibilità.
Tu, intanto, veglia il sonno, di sogni che strappano l’anima.
(Rosalina)