Le danze nobili (Cap. III)
Andata persa la funzione religiosa della danza, nel medioevo solo la gente umile, i contadini, le piccole comunità dei villaggi continuarono in modo semplice e spontaneo a mantenere in vita le vecchie usanze. I riti della fertilità, il martedì grasso, la festa di mezza estate – il nostro moderno ferragosto – le cerimonie funebri erano ancora accompagnate da danze collettive. Altro destino toccò invece ai balli dei cavalieri e della nobiltà feudale. Questi, ben lontani dal carattere primitivo e spontaneo di quelli popolari, si distinguevano per la compostezza e la grazia dei passi e delle pose.
Come nell’antichità, anche nel medioevo la musica che accompagnava la danza era per lo più improvvisata ma, conformandosi ai passi, ai movimenti, al loro ripetersi e alle loro simmetrie, finiva per obbedire a un certo ordine, dando luogo così a un modello, un embrione di "forma musicale". Il ritorno di determinati movimenti doveva infatti coincidere con il ritorno di un certo motivo – il ritornello – che finì per acquistare una particolare importanza nelle canzoni a ballo o ballate.
Due erano le forme fondamentali: la danza alta o ballo, caratterizzata da passi saltati, come per esempio nel celebre salterello, e la danza bassa, detta anche strisciata o passeggiata. In pratica un ballo a movimento veloce e un altro a movimento lento. Alla danza bassa veniva solitamente accoppiata una danza alta, un contrasto cioè di movimenti diversi che preparava il terreno al futuro nascere della suite.
Tutte le danze che dal Rinascimento sino alle soglie dell’Ottocento hanno allietato le feste della nobiltà europea – passacaglia, ciaccona, gagliarda, giga, siciliana, pavana ecc. fino alla brillante gavotta e al memorabile minuetto – hanno la loro origine nei balli o nelle danze strisciate o passeggiate in uso nei castelli medioevali.
I primi balli pubblici
A parte le ricorrenze popolari o paesane, le feste danzanti rimasero per lungo tempo un privilegio pressoché esclusivo della nobiltà e della ricca borghesia. Ma già verso l’inizio del Settecento venivano organizzati a Parigi i primi balli pubblici, una novità questa di grande importanza sociale, in quanto offriva un’occasione di incontro tra ceti diversi. Le danze preferite nel Settecento furono soprattutto quelle dai movimenti leggeri e aggraziati, rispecchianti il gusto predominante dell’arte rococò. Una persona di rango doveva saper danzare con la stessa eleganza e maestria con cui sapeva praticare la scherma e andare a cavallo.
Il secolo d’oro
Le cose cambiano radicalmente nell’Ottocento, secolo d’oro del ballo. La Rivoluzione Francese del 1789, destinata a mutare il volto dell’Europa intera, porta cambiamenti profondi, non solo politici e sociali ma anche nei gusti, nei costumi, nei divertimenti. Il potere passa dalle mani dell’aristocrazia a quelle della borghesia e del popolo, due classi giovani, che avevano conservato però, sia pure in modo diverso, tante antiche tradizioni popolari. La rivoluzione investe anche la danza. Dal rustico Lándler, un caratteristico ballo in tempo ternario originario dei monti e delle campagne bavaresi, nasce il brillantissimo e romantico valzer in cui – cosa inaudita e sconvolgente per quei tempi – dame e cavalieri volteggiano strettamente abbracciati, girando in cerchio su se stessi come i pianeti intorno al Sole. Fu soprattutto grazie ai musicisti della famiglia Strauss, di Vienna, che il valzer raggiunse il massimo del successo e della popolarità. Altri balli nuovi, tutti di origine popolare, cercarono di contendere al valzer il suo primato: dalla Boemia giunse la polka, dalla Polonia la mazurka. Con il risorgere dello spirito nazionalistico tipico dell’età romantica, l’Ottocento finì per riscoprire i preziosi tesori che l’arte popolare di ogni paese aveva gelosamente custodito per secoli sotto forma di fiabe, di poesie, di danze, di canzoni. (Romano Becatti-Emma Bisson)