La voce e il canto
TANTI MODI DI CANTARE
Vi sono tanti diversi modi di cantare, così come vi sono tanti diversi modi di danzare. Nello stesso paese, a seconda delle epoche, o del genere musicale, il modo di cantare varia profondamente. Tanto per fare un esempio: lo stile vocale di un cantante d’opera è totalmente diverso da quello di un cantante di jazz, che a sua volta è diverso da quello di un cantante di rock, di folk ecc.
In certe regioni d’Europa prevale il canto solistico, fiorito di vocalizzi, in altre quello corale, più semplice e austero. Caratteristiche sono anche le diverse tecniche di impostare la voce: nasale, spiegata, vibrata ecc., allo scopo di ottenere determinati effetti. Un esempio ben noto è lo jodel o jodler del Sud Tirolo (un caratteristico modo di cantare in cui la voce compie degli improvvisi salti d’intervallo – di sesta, settima, ottava – passando dalla intonazione normale al falsetto) e di certe regioni della Spagna. Se poi lasciamo il nostro continente e volgiamo l’attenzione alle culture extraeuropee, come l’araba, l’indiana, la cinese, la giapponese e così via, troveremo modi di cantare incredibilmente lontani dalla nostra sensibilità, tanto che è necessario "farvi l’orecchio" per poter apprezzare la qualità.
Anche il linguaggio esercita una notevole influenza sullo stile del canto. La musica di ogni popolo ha infatti delle caratteristiche ritmiche e melodiche che dipendono in buona parte dagli stretti rapporti che esistono tra il canto e la parola.
La lingua italiana, ricca di vocali chiare, rende possibile una forma di legato estremamente dolce e melodioso che, soprattutto nell’opera lirica ha esercitato per alcuni secoli un predominio incontrastato. Anche per queste qualità musicali, grandi compositori stranieri di un tempo scrivevano le opere in lingua italiana anziché in quella del loro paese.
Abbastanza vicino al canto italiano è quello francese, anche se il suono delle vocali, soprattutto la e muta e la frequenza delle nasali, rendono questa lingua meno adatta a sfruttare tutte le possibilità melodiche della voce. Lo stesso può dirsi, benché per ragioni diverse, per altre lingue "latine" come lo spagnolo e il portoghese.
Di altra natura è il canto tedesco, caratterizzato dall’abbondanza di consonanti, di suoni gutturali e cupi che danno alla frase un andamento vigorose e incisivo. E una lingua che pare poco melodiosa ma che è invece capace di profonde e prolungate suggestioni sentimentali.
Qualcosa di simile si può dire per la lingua inglese, con i suoi suoni poco definiti e certe consonanti gutturali, che ci stanno tuttavia diventando familiari. Il canto inglese presenta comunque notevoli caratteri di originalità e raggiunge, in particolare negli spirituals negri e nei songs irlandesi, espressioni di altissimo valore poetico e musicale.
Un cenno particolare merita il canto russo, la cui lingua, come quella italiana si presta alla chiara emissione della voce. Inoltre il popolo russo è straordinariamente dotato di qualità musicali e vocali e dai tempi più antichi ha sempre coltivato il canto, soprattutto corale. Tipiche di questa terra sono certe voci di basso, capaci di raggiungere suoni eccezionalmente gravi.
CLASSIFICAZIONE DELLE VOCI
Come gli strumenti musicali, anche le voci umane vengono classificate secondo l’estensione.
Salendo dal grave verso l’acuto abbiamo la seguente gamma di voci:Mediamente, nel linguaggio parlato, l’estensione della voce è compresa nell’ambito di un’ottava, vale a dire entro frequenze comprese fra 100 e 240. Nel canto tale estensione aumenta sino a circa due ottave. Complessivamente le frequenze della voce umana vanno da 162, nota più grave della voce di basso, a 2070, nota più acuta della voce di soprano.
Una prima grande suddivisione viene fatta tra voci maschili e voci femminili.
Le voci maschili sono:
Basso: copre l’estensione più grave della voce umana.
Baritono: copre l’estensione intermedia maschile.
Tenore: copre l’estensione acuta maschile.
Le principali voci femminili sono:
Contralto: copre l’estensione più grave della voce femminile.
Mezzosoprano: copre l’estensione intermedia femminile.
Soprano: copre l’estensione più acuta della voce umana.
IL CANTO SOLISTA: LA MELODIA
La melodia trova nel canto solista la sua espressione più naturale. Prima ancora d’essere in grado di costruire strumenti capaci di "intonare" un numero adeguato di suoni diversi, l’uomo cantava e con la sua sola voce componeva melodie. Pare quasi incredibile l’enorme quantità di forme musicali diverse che il canto a una sola voce ha saputo originare nel corso della storia umana. Come una danzatrice solitaria, la voce solista ritma liberamente i suoi passi, i suoi salti da una nota all’altra, ora accelerando ora ritardando, e dà vita così a una varietà di movenze e di figure. Il canto è quindi come una "danza" della voce, così come la danza può essere paragonata a una "melodia" di movimenti del corpo.
Ninnenanne, filastrocche, stornelli, canzoni ballabili e quasi tutta la musica primitiva e popolare devono la loro origine al canto solista. Anche se eseguita da una voce sola, la melodia contiene infatti tutti gli elementi della musica: il ritmo, la frase, l’espressione, il senso dell’armonia.
Lo stesso vale per la musica colta: canzoni trovadoriche, romanze, arie, lieder, recitativo drammatico, tutte forme che avremo modo di conoscere in seguito sono composte per voce solista con e senza accompagnamento di strumenti. Qualunque sia il genere musicale, il canto solistico è sempre portato, in misura maggiore o minore, al virtuosismo. Questo consiste non solo nella bellezza e nell’estensione della voce, ma anche nella sua agilità nell’esecuzione dei più difficili vocalizzi.
Il virtuosismo vocale ebbe il suo periodo d’oro soprattutto nel Settecento, quando, con l’affermarsi dell’opera lirica o melodramma, sorsero in Italia, le famose scuole di "bel canto". L’esibizionismo dei cantanti finì però per togliere al canto solistico tutta la sua bellezza e sincerità, riducendolo sovente a un noioso sfoggio di acrobazie vocali. Fortunatamente questa moda fu superata e già dall’inizio del secolo scorso compositori e pubblico, pur continuando ad apprezzare le reali qualità del bel canto, tornarono a chiedere a esso l’originaria naturalezza e semplicità espressiva.
IL CANTO COLLETTIVO: L’ARMONIA
Tante voci che cantano insieme danno un senso di grandezza e di solennità. Se il canto
solista è la manifestazione di un sentimento individuale, quello collettivo esprime invece la commozione di tanti esseri umani legati fra loro da un sentimento comune, da un unico ideale.
Come la danza, il canto unisce. Da questa unione nasce l’armonia, non solo musicale, ma anche affettiva, spirituale. Abbiamo cominciato a intuire l’armonia nella stessa natura che ci circonda: tante cose, tanti esseri diversi che pute, tutti insieme, contribuiscono alla bellezza del creato.
Coloro che cantano insieme non possono che essere amici. Nel canto collettivo le voci devono formare un insieme armonico, che può essere infinitamente vario, ma pur sempre ordinato. Come dei danzatori in gruppo compiono gli stessi passi, gli stessi movimenti, molte voci possono cantare contemporaneamente la stessa melodia. Si dice in questo caso che esse cantano all’unisono ed è questo il modo più semplice per cantare insieme.
Conosciamo però anche danze di gruppo nelle quali i ballerini eseguono passi e movimenti differenti, che però si svolgono in un ordine perfetto. In un canto collettivo anche le voci possono eseguire contemporaneamente note diverse, melodie diverse. Questo intreccio di parti prende il nome di contrappunto e il loro insieme è l’armonia.
Possiamo dire quindi che, mentre la melodia è la figlia del canto individuale, l’armonia è la figlia del canto collettivo. Lo sviluppo di tutta la musica occidentale, i suoi grandi capolavori – che hanno finito per conquistare civiltà e culture diverse anche più antiche della nostra – sono stati possibili grazie alla scoperta delle regole che governano l’armonia, scoperta favorita dall’esperienza del canto corale.
Successivamente, quelle stesse regole sono state applicate anche alla musica per orchestra, un complesso che, grande o piccolo che sia, altro non è che un "coro" di voci strumentali.
Elemento primario di tutti i generi musicali, sacri e profani, il coro ha una parte di spicco nell’opera lirica (celebri sono i cori delle opere di Giuseppe Verdi), nell’oratorio, nelle cantate e in alcune sinfonie (la Nona di Beethoven, tanto per citare un esempio illustre). Grande suggestione suscita il coro nelle canzoni e nella musica popolare in genere. Famosi sono i cori di montagna, i già citati spirituals dei negri d’America, i cori dei Cosacchi.
IL CORO
La parola "coro" proviene dal greco khoréia, termine che originariamente stava a significare sia la danza sia il gruppo dei danzatori.
In un secondo tempo il medesimo vocabolo acquistò un significato più vasto e designò sia il gruppo dei danzatori-cantori, sia il canto e le evoluzioni che essi compivano (coreografie), sia infine il luogo dove si svolgevano le danze. Nella tragedia greca il coro aveva la funzione di commento epico o morale agli eventi, collegando un episodio all’altro.
Ai tempi nostri, "coro" sta a significare tanto il gruppo dei cantori quanto il brano che essi eseguono. E’ sopravvissuta, ma quasi esclusivamente nel genere "leggero" (rivista, operetta, film musicale), l’antica funzione coreografica: i ballerini, almeno in apparenza, danzano e cantano insieme in genere i ballerini fingono di cantare, poiché la musica è affidata alla cosiddetta tecnica del play-back).
Sin dall’antichità, la musica corale fu intesa come espressione dei sentimenti di solidarietà, degli ideali di fede e di amor patrio di un popolo. Per questo le si attribuì una funzione religioso-politica. Egizi, Assiri, Ebrei, Greci, Romani celebravano le grandi solennità nazionali e religiose oltre che con giochi e danze anche con canti collettivi.
L’attitudine al canto corale è tanto più radicata in quei popoli nei quali più profondi sono la fede religiosa, l’amore per la propria terra, l’attaccamento alle tradizioni.
Nulla più del coro dà il senso dell’unità. È noto il significato patriottico attribuito ai cori delle opere verdiane e l’entusiasmo popolare da essi sollevato negli anni del Risorgimento. Nelle canzoni collettive, soprattutto quelle più semplici e sincere, la ragazza di filanda, l’emigrante, l’oppresso, il soldato di paese ritrovano con il proprio simile la gioia e la consolazione alla soffereza e alla nostalgia.
Il coro può essere monodico, quando tutte le voci eseguono la stessa melodia come nel caso del canto gregoriano, oppure polifonico quando le varie voci eseguono contemporaneamente parti diverse (madrigale, mottetto ecc.).
A seconda delle voci che lo compongono, abbiamo:
- coro a voci uguali o pari:
coro di bambini (voci bianche),
coro femminile,
coro maschile;
- coro misto o a voci dispari,
generalmente formato da quattro voci:
voci femminili (soprani, contralti),
voci maschili (tenori, bassi).
Esistono composizioni a sei, sette, otto voci e persino per due cori. È chiaro però che, aumentando il numero delle parti vocali, più difficile diviene distinguerle nell’insieme. La formazione più usata è quella a quattro voci.
Il coro puro – senza cioè accompagnamento di strumenti – prende il nome di coro a cappella. Quando invece è accompagnato dall’orchestra o da uno strumento come organo, pianoforte ecc. si chiama coro concertante.
Il coro è una compagine molto versatile e suscettibile di creare tanti effetti musicali ed espressivi. Abbiamo così il coro a bocca chiusa, sommesso e profondamente suggestivo, il coro vocalizzante, in cui le voci cantano delle semplici vocali, senza pronunciare parole, il coro parlato, in cui le voci non cantano ma declamano ritmicamente il testo, e infine il coro battente o spezzato, nel quale il complesso dei cantori viene diviso in vari gruppi distanziati in modo da ottenere un effetto "stereofonico" tra le parti che si rispondono da vari punti dello spazio. (Romano Becatti – Emma Bisson)