La Ntorcia di San Martino – Atessa
La “ Ntorcia “ di San Martino – Atessa
La ‘Ndorce di Sante Martine, è un pellegrinaggio storico-religioso, che si svolge secondo la tradizione a maggio con partenza da Atessa, durante il quale numerosi fedeli percorrono a piedi un antico sentiero che collega Atessa con Fara San Martino. E’ una marcia molto impegnativa (oltre 30 km), e si consiglia la partecipazione solo a persone allenate a percorrere lunghi percorsi a piedi.
Infatti l’equipaggiamento consigliato e come quello di percorsi di montagna: scarponcini da trekking, ghette, impermeabile, berretto, borraccia, ombrello.
Itinerario: Atessa, San Pasquale, Crocetta di Bomba, Sant’Antonio di Bomba (ristoro), Roccascalegna, Gessopalena, Lago di Casoli – Ciclone (ristoro), Civitella Messer Raimondo, Fara San Martino.
I pellegrini dopo aver assistito alla messa la mattina presto intorno alle 3, escono devotamente dalla chiesa di San Leucio e si avviano verso la montagna. Portano con loro “La ’ntorcia”, una grossa torcia del peso di circa 7 chili, composta con una grossa candela centrale e quattro candele minori, intervallate da canne, alla cui sommità sono posti dei fiori e rivestita di carta variopinta.
Giunti fuori il paese in località Vallaspra, vicino il ponte sull’Osento, dove la leggenda narra che il santo monaco, prima di abbandonare per sempre Atessa si sia fermato, per benedire il paese e piantare un ulivo che crebbe miracolosamente, la compagnia compie una prima sosta rituale.
Qui i pellegrini ricevono la benedizione del prevosto e recitano le litanie e il priore li invita a guardare per l’ultima volta Atessa e a compiere con devozione il cammino.
Dopo ore di marcia, risalendo le valli del Sangro, dell’Aventino e poi del Verde, i pellegrini della ‘Ndorcia giungono a Fara San Martino dove visitano la chiesa di San Pietro e vi lasciano la ndorcia.
La marcia, può durare fino a 17 ore. Quindi deposta in offerta la Ndorcia i devoti risalgono verso lo stretto Vallone di Santo Spirito anche chiamato le gole di San Martino e una volta giunti tra i resti dell’antico monastero dove pare sia vissuto San Martino, si soffermano fra le rocce. Qui ci sono i resti del monastero fondato nel 1044, sepolto da un’alluvione nel 1819, ritornato in luce nel 1991.
I devoti usano raccogliere detriti alluvionali del fiume Verde, che ha la sorgente ai piedi del vallone e in cui si bagnano le mani in segno di devozione e anche alcune pietruzze che riportano a casa come reliquie.
Raccolgono “le cicelitte”, piccoli sassi che porteranno a casa e conserveranno x i dolori addominali o spargeranno x i campi come auspicio di buon raccolto.
Altri, specialmente le persone anziane, a scopo terapeutico, si strofinano o si rotolano tra le rocce dello stretto per non soffrire di dolori addominali.
Poi tutti ridiscendono a valle e tornano in paese dove sono accolti festosamente.
Chi vive a stretto contatto con la terra, porta in sé le tracce di gesti antichi, caratterizzata da gesti propiziatori fatti con le pietre.
La pietra: elemento primordiale, simbolo di casa, di altare, di patto.
Il rito è un chiaro carattere propiziatorio per l’annata agraria ed è sottoposto ad alcuni tabù, come quello di non voltarsi mai indietro e di non guardare la montagna durante il viaggio, che fanno pensare ad una antica origine solare del rito.
Il santo a cui si rivolgono gli atessani è un monaco benedettino. Martino fu un monaco, nativo di Atessa, visse nel lontano Quattrocento, epoca in cui scelse di vivere in solitudine e in preghiera in piena comunione con Dio.
Si ritirò così in una grotta nei pressi di Fara San Martino, dove presto giunsero altri uomini per unirsi a lui nella preghiera. Insieme fondarono un piccolo convento del quale ancora oggi è possibile ammirare delle mura.
Il pellegrinaggio nasce da una antica leggenda secondo cui una statua del santo situata a San Salvatore a Maiella rotolò fino al fiume in seguito ad una tempesta di vento. Da qui, galleggiando sull’acqua, arrivò intatta, vicino ad Atessa, dove gli abitanti del paese la collocarono nella loro chiesa principale.
Dopo solenni festeggiamenti, indetti in onore del Santo, la statua scomparve. Fu ritrovata di nuovo a Fara San Martino e dopo aver tentato per tre volte di riportarla ad Atessa, fu deciso di lasciare la statua sul posto e di andarvi ogni anno in pellegrinaggio, portando in dono una grande torcia votiva, la’ndorcia per l’appunto.
La storia narra che prima di morire, l’eremita Martino volle tornare a salutare la terra natia e mentre salutava e benediceva i suoi concittadini atessani, chiese di ricordarlo andandolo a visitare in avvenire percorrendo i sentieri che portavano alla sua grotta, recando in offerta una torcia. A coloro che avrebbero rispettato le volontà dell’eremita San Martino, promise che avrebbe agito da intercessore con la Divina Provvidenza affinché ci fosse pioggia e bel tempo a sufficienza per garantire abbondanza nei raccolti campestri.
Martino poi riprese la strada del ritorno a Fara e portò con sé un ramoscello d’olivo che piantò lungo la via che porta a Vallaspra, luogo in cui, ancora oggi, la processione tradizionale dei pellegrini sosta per il suo rituale di preghiera.
Da pochi anni è stato piantato da un devoto della ndorcia una nuova pianta di ulivo nello stesso posto dove dal ramoscello di Martino era nata una pianta di ulivo. L’antico ulivo si era seccato.
In passato il pellegrinaggio è stato organizzato dal CAI sezione di Atessa, oggi è nato il Comitato della Ntorcia.
Negli anni in cui non si svolge o non si è svolto il pellegrinaggio a piedi, i devoti atessani , per non perdere la tradizione, si sono recati lo stesso a Fara San Martino, con gli autobus.
Divagazione Dialettale
LA NTORCE
L’Atesse
Te na tradizione antiche,
è la Ntorce
camine e prighe.
A Sante Martine è dedicate
E l’atessane n’ze l’ha scurdate.
La Ntorce
è fatte de cannele e canne
e se porte a la Fare,
a Sante Martine, tutte l’anne.
Le cristijane prime jiuorne
a le tre se leve lu sonne
pije la santa benedezione
e s’abbije nghe devozione.
La cumpagnije camine, camine,
cantenne le lode a Sante Martine.
A ogne chijese entre pe rengrazià
e nghe respette pe supplicà.
Passe San Pasquale, Bomme, la Rocche
accavalle lu Jesse e a l’Aventine s’inginocchije .
A lu fiume se paghe lu pedagge
p’avè ancore la forze e lu curagge
p’aresaije la coste de le Fercune
e ije a Ciuvetelle de le Conte Bagliune.
Mò è sole capabballe
ecche la Fare mmezze a la valle.
E Sante Martine sciabbindette
Ecchete la Ntorcia benedette!
T’arevuteche mmezze a le prete ca t’attocche
Areccuije le cicelitte e mittele ‘nsaccocce.
Pe bone augurie se ventele ‘ncampagne
O te le strusce se ti vè lu dulore de panze.
S’areparte dope giuste repose
nghe na magnate e lu core festose.
E’ nu camine tribbulate
le po’ fa chi è allenate.
L’atessane ce sta attaccate
Dole le cosse e le custate.
Ma pure st’anne s’è rrenuvate
la tradizione a lu Sante titulate.
Sante Martine te seme ‘nvucate
pe la vije te seme pregate,
le litanie recitate,
la bona sorte ricurdate
e pe le secule ringraziate.
(Rosalina)