Coscienza di stato e stato di coscienza
La coscienza di stato e lo stato di coscienza. Ha a che fare con la ragione di stato e lo stato di ragione? Chissà… forse. Qualcosa che accomuna c’è, se non altro x assonanza di suono o parole.
E tutti direbbero: paroloni! parole grosse! Parole di gran significato, che contengono concetti fondamento dell’essere civile. Un azzardo, infilarsi in questa dissertazione di pensieri e parole. Non so dove arriverò a pensare.
Non sono una diplomatica, nè una competente delle dinamiche socio-politiche o socio-finanziarie, o socio-statistiche, o socio-economiche. Però sono attratta dai contrari e, coscienza di stato e stato di coscienza mi procura una sorta di malessere che ho difficoltà a superare.
Discernere lo stato come entità superiore e gli uomini che lo fanno, o meglio che lo dirigono, mi costa un continuo resettare la mente. Un riconvertire le convinzioni? Un rivedere la coscienza? Non trovo lo snodo per distinguere o meglio, separare, la voce ‘stato’ dalla voce ‘uomo’. Interdipendenza, l’uno senza l’altro e viceversa nn potrebbero esistere. Una simbiosi.
La coscienza di stato e lo stato di coscienza apparentemente sono agli antipodi, nell’uso delle parole, a me sembrano interdipendenti, l’uno concetto legato all’altro in una sorta di conseguenzialità circolare che dà il senso all’espressione quasi come assioma che assioma non è.
Una interdipendenza che dà il senso all’agire umano teso al raggiungimento di un concetto sublimato. La coscienza di stato per intendere l’anima, i fondamenti, le basi, i valori che regolano, che fanno di un popolo la sua identità.
Oppure la coscienza di stato per intendere le scelte, le motivazioni, le soluzioni che vengono proposte o promulgate e dettano lo stato di coscienza di coloro che si trovano per mandato o investiti per competenza o impegno civile a distribuire la propria coscienza come voce. Rappresentativa di una idea e/o di una convinzione, di una giusta causa.
In breve la coscienza di ciascuno che fa la coscienza del colletivo.
E qui mi sovviene immediatamente un proverbio abruzzese, la voce della saggezza popolare: "Chi tè l’educazijone, le mostre", ma mi viene pure immediatamente un gioco di parole, una trasformazione, una modifica: "Chi tè la cuscijenze, le mostre".
E di questi tempi… sia l’una, che l’altra versione, in cui immodestamente mi sono cimentata, sembrano calzare ad hoc, per e nel mondo che ci attraversa.
Chissà se ragiono o vaneggio. Sarà interdipendenza pure questa?
(Rosalina)