Una conchiglia venuta da lontano
Un desiderio irrefrenabile di andare a trovare il mare. Fu più forte di qualsiasi altro desiderio. Voleva vedere le onde accavallarsi e schiumare. Voleva sentire quel sordo boato, incessante, che rispecchiava, lampante e stupefacente, le sensazioni che la sconcertavano. Quando giunse, titubò, prima di arrivare sulla riva del mare. Aveva timore. Timore di trovarsi di fronte alla verità, timore di guardarla in faccia, smarrita, per la debolezza di non aver coraggio. C’erano le nuvole, aria di pioggia, niente sole.
Fu quel prato di margherite marine, cresciute e sbocciate fra la salsedine, che la spinsero ad avvicinarsi. Erano bianche, mille. Tutte di petali larghi e di una corolla d’oro. Così sorridenti, accoglienti, così benevole, che l’attrazione del mare si tramutò in passi veloci e sicuri fra la sabbia. Schivò con delicatezza ogni piccolo fiore, ce n’erano di minuscoli, fucsia, che spiccavano come gemme, fra quel bianco smagliante. Finalmente i sassi e la distesa marina! Onde, onde, onde che, costantemente, battevano a riva trascinandosi sordidamente l’acciottolare dei sassi della battigia. Si lasciò trasportare, sedendosi su un masso di cemento, da quello sciabordio che le sembrò familiare. Abbassò le palpebre, perchè voleva ascoltare la voce dell’acqua salata. Rimase così… chissà quanto tempo. Non capiva le risposte, non riusciva a tradurre, le mancava un tassello di quel puzzle sfumato d’azzurro. Cercò la terra e, riaprendo gli occhi, si trovò tra le mani una conchiglia. Era una conchiglia e, solitamente, le conchiglie hanno un che di affascinante. Questa, invece, aveva decisamente, un aspetto acciaccato. Consumata, dal sale e dal sole. Grigia, tutta sfumata di un piatto grigio, di una infinità di falde sovrapposte, semicircolari e tutte imprecise. Grande come il palmo di una mano. Assolutamente insignificante, fra le tante belle conchiglie sparse intorno. Il bordo di quelle falde, non era come i lisci e leggeri strati di una sfogliatella napoletana, ma ondulate, quasi ispide, sbrindellate e, talmente saldate fra loro, da sembrare terrazzamenti di riso indocinesi. Ruvida. Ne restò incuriosita ugualmente e, nel momento stesso in cui la rigirò per scoprirne il rovescio, restò ammutolita. Ammutolita dentro. Le sovvennero, istantaneamente, parole. Parole quasi sussurrate dolcemente "La vita manda sempre dei messaggi, avvisa, e se non si sa o non si riesce ad ascoltare, la volta successiva dà uno schiaffo talmente forte, che fa talmente male, da stendere a terra".
Era lì, lo schiaffo, la conchiglia. Il rovescio era stupendo. Era una conchiglia di ostrica, madreperlacea, con le falde interne rosacee, delineate, sporgenti, limpide. Al centro una macchia grigia che forse, aveva contenuto il mollusco o forse una perla? Era una valva spessa, molto spessa, forse aveva passato molti anni attaccata su un pendio roccioso fra i marosi. Tutti quegli strati erano una corazza per contenere qualcosa di assolutamente prezioso, o delicato o inviolabile? Quell’interno era morbido, le mani si sporcarono di polvere calcarea, come di gessetto. E Lei, presa da una frenesia incontrollabile, annaspò alla ricerca di un’altra conchiglia più piccola. Percepiva che quello spessore era friabile, facilmente intaccabile. Adoperò la conchiglietta come uno scavino, ed iniziò ad incidere il calcare con veemenza, per cercare cosa c’era sotto i primi strati. Altro gesso, nient’altro che gesso, che, impalpabilmente, si volatilizzava, sottoforma di polvere bianca, trasportata via, in un attimo, dal vento marino. Scavò una fossetta, poi un’altra, un’altra ancora, ma era tutto lì. Si arrese. Iniziò ad accarezzare quelle piccole cavità, divennero lisce ed oleose, le colorarono le dita di bianco, e intanto, guardava il mare che continuava a parlare con un linguaggio che non capiva.
Inebetita, fu svegliata da un raggio di sole che penetrò le nuvole. Il sole, imperioso, le fece abbassare gli occhi su quella inerte conchiglia. No! Al sole brillava tutta! Tutto il bianco era permeato di infiniti, microscopici lapislazzuli luminescenti… brillava tutta! Ogni strato, allora, era pieno di preziosità e Lei non se n’era accorta! Troppo attenta a cercare, aveva cercato qualcosa che non doveva essere cercato. Anzi, ne aveva disperso al vento una parte! Che sciocca! Pensò immediatamente, di regalarla a chi avrebbe saputo guardarla ma, così come aveva sentito, d’istinto, quel gesto di dono, le giunse, all’opposto, l’istinto di negarselo. Chiunque avrebbe apprezzato il gesto, ma solo il gesto. Chi mai avrebbe continuato a guardare quella insipida ostrica con il suo stesso stupore, senza avvertire il senso del deja vu? Come tanti pensieri regalati, sarebbe finita nel primo cassetto a portata di mano, fra le tante cose da conservare, per ricordare ogni tanto.
Lei, invece, fantasticava il contrario, perchè nella conchiglia c’era il suo mondo. Così, prima la portò con sè, poi, si chiese se non sarebbe stato meglio riconsegnarla al mare. Non ne era certa, ma forse, da lì proveniva e lì doveva tornare. Chissà. Lei fantasticava il contrario.
Divagazioni Poetiche
LONTANO
Lontano il mare,
il sole bruciante,
il brillio delle onde.
Vicino il mare.
Divora la spiaggia.
Abbandona, ai suoi confini,
brandelli di tronchi passati.
E’ sempre un mare.
(Rosalina)