Dalla terra atavica al teppismo urbano: Sergej Esenin (Carmelo Bene: Cap. XI)
Esènin nacque nel 1895 a Rjazàn’, una regione in cui la terra si estende fino all’orizzonte e gli abitanti sono persone povere e umili ma semplici, sono contadini, come la sua famiglia; Sergèj crebbe soprattutto con il nonno, un ”vecchio credente”. Cominciò a scrivere poesie all’età di nove anni. Nel 1912 si trasferì a Mosca dove si guadagnava da vivere lavorando come correttore di bozze in una società editoriale. L’anno seguente si iscrisse all’Università statale di Mosca come studente esterno e studiò lì per un anno e mezzo. Le sue prime poesie sono totalmente ispirate al folklore russo. Nel 1915, si trasferì a San Pietroburgo, dove conobbe i compagni poeti Aleksandr Blok, Sergej Gorodeckij, Nikolaj Kljuev e Andrej Belyj. Fu a San Pietroburgo che divenne famoso nei circoli di letteratura. Blok fu soprattutto utile a promuovere le fasi iniziali della sua carriera come poeta. Esenin disse che Belyj gli diede il significato della forma, mentre Blok e Kljuev gli insegnarono il lirismo. Nello stesso anno pubblicò il suo primo libro di poesie, intitolato Radunica, seguito a ruota da Rito per il morto (1916). Attraverso le sue collezioni di poesia pungente sull’amore e la vita semplice, divenne uno dei poeti più popolari del momento. Bisessuale e avendo una bellezza fuori dal comune, si appoggiò nella prima parte della sua vita ad uomini influenti (ebbe una relazione anche con Kljuev), mentre nella seconda parte la sua preferenza andò a donne influenti. Dotato di una personalità romantica, s’innamorava frequentemente, e in un breve periodo si sposò cinque volte. La prima volta nel 1913, con una collega di lavoro della casa editrice chiamata Anna Izrjadnova, dalla quale ebbe un figlio, Jurij, che sarebbe stato arrestato durante le grandi purghe staliniste, e sarebbe morto in un gulag nel 1937. Nel 1916-1917, Esènin fu arruolato per il servizio militare, ma poco dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917, la Russia uscì dalla prima guerra mondiale. Credendo che la rivoluzione avrebbe comportato una vita migliore, la sostenne, ma subito si disilluse e talvolta criticò persino il governo bolscevico in poesie come L’ottobre severo mi ha ingannato. Nell’ agosto 1917 Esènin si sposò per la seconda volta con l’attrice Zinaida Rajch (più tardi moglie di Vsevolod Mejerchòl’d). Da lei ebbe una figlia, Tatjana, ed un figlio, Konstantin. Nel settembre del 1918 fondò una propria casa editrice chiamata "Compagnia lavorativa moscovita degli artisti della parola".Nell’autunno del 1921, mentre visitava lo studio del pittore Aleksej Jakovlev, conobbe la celebre ballerina americana Isadora Duncan, che aveva 17 anni più di lui. Si sposarono il 2 maggio 1922, nonostante il fatto che la Duncan conoscesse solo una dozzina di parole in russo, mentre Esènin non parlava nessuna lingua straniera. Si trattò quindi per entrambi di una mossa pubblicitaria, destinata come tale a breve durata (oltre tutto anche la Duncan era a sua volta bisessuale, con preferenza per le donne).Esenin accompagnò la sua moglie-celebrità in un viaggio in Europa e negli Stati Uniti, ma l’esperienza si rivelò eccessiva per lui, e la sua dipendenza dall’alcol sfuggì al controllo. Spesso ubriaco o drogato, le sue crisi di rabbia gli fecero distruggere camere d’ hotel o causare scompiglio in ristoranti.Questo comportamento non era in sé affatto negativo per la Duncan che, ora cittadina sovietica, ballava ammantata di drappi rossi ed esibiva il bellissimo ed esotico marito contadino sovietico, per di più anche poeta, alla stampa mondiale, attirando così su di sé l’attenzione di tutti in un momento in cui la sua fama aveva iniziato ormai a declinare.Tuttavia Esènin, isolato dalla barriera della lingua, si trovava tagliato fuori dal proprio ambiente, riducendosi, lui poeta celeberrimo in patria, a fare l’accompagnatore di una celebrità straniera, il "marito di Isadora Duncan". Lo stress che questa situazione inflisse alla personalità già disturbata del poeta lo condusse a una vera e propria malattia. Il matrimonio con la Duncan ovviamente durò poco tempo e nel maggio del 1923 Esènin era di ritorno a Mosca. Lì ebbe subito una stretta relazione con l’attrice Augusta Miklaševskaja e si crede che l’abbia sposata in una cerimonia civile dopo aver ottenuto il divorzio da Isadora Duncan. Un’altra amante di questo periodo, Galina Benislavskaja, si sarebbe suicidata sulla tomba di Esènin un anno dopo la sua morte. Il comportamento di Esènin divenne progressivamente sempre più avventato e quello stesso anno ebbe un figlio, Aleksandr, dalla poetessa Nadežda Vol’pin. Sergèj non conobbe mai questo suo figlio; Aleksandr Esènin-Vol’pin sarebbe poi diventato un importante poeta e attivista nel movimento dissidente dell’Unione Sovietica degli anni sessanta con Andrej Sacharov e altri. Negli ultimi due anni della sua vita Esènin ebbe comportamenti imprevedibili e spesso si ubriacava, tuttavia in questo periodo di disperazione personale creò anche alcune delle sue poesie più famose. Nella primavera del 1925, un Esènin molto volubile sposò la sua quinta moglie, Sofia Andreevna Tolstaja, una nipote di Lev Tolstoj. Lei cercò di aiutarlo, ma lui patì un esaurimento nervoso e venne ricoverato in ospedale psichiatrico per un mese. Due giorni dopo essere stato dimesso per il Natale, si tagliò un polso e scrisse una poesia d’addio con il suo stesso sangue; il giorno dopo s’impiccò ai tubi del riscaldamento sul soffitto della sua camera (la numero 5) dell’ Hotel Angleterre a San Pietroburgo, all’età di 30 anni.
C’è chi sostiene che il suicidio sia stato una montatura e che Esènin sarebbe stato in realtà ucciso da agenti del GPU. Sebbene fosse uno dei poeti più famosi della Russia e gli fosse stato dato dallo Stato un funerale elaborato, la maggior parte dei suoi scritti furono messi all’indice dal Cremlino durante la dittatura di Josif Stalin e il governo di Nikita Chruščëv. A ciò contribuì in modo significativo la critica di Nikolaj Bucharin. Solo nel 1966 la maggior parte delle sue opere fu ripubblicata.
La notte del 27 dicembre Esènin scrisse col proprio sangue una poesia d’addio: Arrivederci, amico mio, arrivederci. La poesia, non chiara (sul destinatario ci sono molti dubbi; non sappiamo ancora, ad esempio, se fosse un uomo o una donna: in russo "drug" può significare contemporaneamente amico e amica, con netta prevalenza per il maschile) sarebbe stata da Esènin consegnata ad un amico, con la promessa di leggerla solo il giorno dopo; nel frattempo, Esènin si sarebbe impiccato. E’ chiaro che quella del suicidio rappresenta la versione "ufficiale", riconosciuta dalla magistratura sovietica di allora. Ma, soprattutto negli ultimi anni, si parla sempre più di una messa in scena per mascherare l’assassinio del poeta da parte di alcuni uomini del regime comunista.
Sin dall’inizio Esènin sorprese i lettori con la vivacità di poesie che sgorgavano senza artificio da un’emozione ingenua, da un fervore elementare. Come nell’arte di Blok, dietro i versi di Esènin fu sempre la figura del poeta, personaggio letterario, la cui ombra si estese man mano su tutto lo spazio della sua produzione. Dapprima lirico campestre, con gli stivali di marocchino e l’azzurra camicia russa, in mezzo ai raffinati di Pietroburgo; poi immaginista turbolento “in cilindro e con le scarpe lucidate”; frequentatore di bettole che spegneva nel bere la sua mestizia inconsolabile, Esènin divenne una curiosità di cronaca, e nei suoi versi più volte si cercò il documento anziché la poesia. E lui stesso, quasi insuperbito della sua fama di mettiscandali, non si curò di attenuare le proprie contraddizioni, ma parve accentuarle in un’aspra disarmonia. Impulsivo, sconnesso, agitato da divergenti stati d’animo, passò con umore mutevole dall’umiltà al teppismo, dalla preghiera al sacrilegio, spesso mischiando nel più arruffato disordine docili note di devozione e veementi immagini volgari.
Alle radici del suo mondo poetico è uno sconfinato amore per il villaggio nativo e, sebbene attristato dalla sua miseria, Esènin riflette l’ambiente contadino in uno specchio idillico, in un tranquillo assopimento, senza sdegno e con toni di umile rassegnazione. Questo sentimento di passiva accettazione scorre per tutta l’opera di Esènin, sino alla fine; e nelle ultime cose assume un contorno mestissimo e funebre. Nelle sue immagini il paesaggio assume un carattere di animismo pagano e tuttavia nel suo lessico abbondano termini ecclesiastici – si ricordi che il poeta discendeva da “vecchi credenti”. Quando arriva la Rivoluzione, egli la accoglie trasfondendola in un linguaggio di immagini in cui appare una miscela di elementi visionari; e per questa strada arriva ad accostarsi all’ambito dell’immaginismo, uno dei numerosi movimenti che fioriscono in Russia dopo la Rivoluzione. Esènin è tra i firmatari del manifesto dell’immaginismo, che risale al 1919 e si oppone ai poeti cosiddetti “concettuali”, tra cui includono i simbolisti e anche i cubofuturisti. Per gli immaginisti la poesia consiste nella creazione di immagini in forma pura, affidata alle metafore e spesso priva di nessi grammaticali. Ma alla radice di questo movimento c’è il rapporto con l’egofuturismo di Severjànin. Cessati gli entusiasmi per il paradiso contadino, si accrebbe in Esènin la convinzione che la civiltà meccanica si accingesse a distruggere la campagna patriarcale, e riscontrando nel socialismo sovietico un chiaro marchio di industrializzazione, vide il suo mondo cadere in rovina e la sua concezione religiosa svanire col tramonto del vecchio villaggio. Si sentì a grado a grado sempre più superato, inerme, inutile. E’ in questo sconforto che irrompe nel suo animo il “teppismo”, con i suoi versi ubriachi, pieni di incubi, di delirio, di sfinimento, sempre sull’orlo di crollare assieme all’illusione consolatoria del suo paradiso contadino perduto. Sulla sua scia si diffonde una sorta di eseninismo, triviale e decadente, da cui il poeta tentò di prendere le distanze cimentandosi in un’epica sovietica di scarsa ispirazione – a dimostrazione di un rapporto conflittuale con l’epoca postrivoluzionaria. Nelle sue ultime liriche si riavvicina prepotentemente alla romanza zigana e al lirismo di Blok, in preda ormai allo sfacelo e ad un senso di ineluttabile perdizione.