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  • Domenico Cimarosa – Il matrimonio segreto

Domenico Cimarosa – Il matrimonio segreto

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  • Date 19 Novembre 2009
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Di ritorno dal soggiorno a San Pietroburgo, verso la fine del 1791, Domenico Cimarosa fu trattenuto a Vienna dall’ imperatore Leopoldo II, già granduca di Toscana. Erano i giorni della prematura fine di Mozart (5 dicembre 1791); Salieri aveva lasciato da poco la direzione del Teatro dell’Opera; Haydn trionfava a Londra. In questo storico contesto il 7 febbraio 1792 andò in scena al Burgtheater Il matrimonio segreto, dramma giocoso in due atti, commissionato dall’imperatore in persona.

Si racconta che dopo il trionfo decretato al termine dell’esecuzione, Leopoldo II invitasse a banchetto tutti gli artisti e chiedesse poi l’immediata ripetizione integrale dell’opera, evento unico nella storia della musica. Aneddoto o realtà, di certo il capolavoro di Cimarosa divenne simbolo di un secolo orientato alla ricerca di un miracoloso equilibrio perduto, e allo stesso tempo la scoperta di una concreta possibilità del recupero del genere buffo che, all’indomani dei capolavori di Mozart, sembrava definitivamente compiuto. Stendhal collocava quest’opera ai vertici del melodramma: avesse ragione o meno, sta di fatto che Il matrimonio segreto è rimasto presente stabilmente nel repertorio dalla sua nascita ad oggi, oscurando da subito la pur sterminata produzione dello stesso Cimarosa.
      Giovanni Bertati, poeta di corte, al quale fu affidata la stesura del libretto, adattò le fonti letterarie di riferimento ad una moderata ricomposizione, più aderente alla tradizione dell’opera comica italiana. L’intento di Bertati era quello di semplificare i modelli e di attenuare gli elementi di satira sociale in una più stemperata collocazione degli episodi e dei personaggi, i quali non connotano caratterizzazioni definite, da commedia goldoniana, ma tracciano tenui affreschi di sapiente medietas di toni e di modi; sicché ad esempio l’accento satirico-grottesco ha respiro contenuto in Geronimo, il vecchio vanaglorioso e avaro, che perde taluni tratti caricaturali in una prospettiva benevolmente giocosa. Cosi anche il registro larmoyante, che in Carolina mitiga le tinte forti di altre protagoniste coeve. L’originale, brillante inserimento del motivo dell’amore di Fidalma per Paolino, assente nei testi presi a modello, disegna una simmetria delle vicende che attenua, in una sorta di gioco delle parti, una potenziale tensione di conflitto, mentre l’intera vicenda suggerisce un ambiguo tentativo di egualitarismo dei diversi strati sociali che si risolve alla fine con il prevalere degli affetti su interessi di altra natura.
      Su questa intelaiatura Cimarosa costruì il suo capolavoro, attraverso un uso consapevole della koiné musicale dell’opera buffa in una forma misurata ed elegante che recava all’interno echi mozartiani e anticipazioni rossiniane, e che si manifesta in un continuo fluire della melodia. La cifra stilistica, equidistante dalla passione intensa di un Piccinni come dalla comicità grottesca rinvenibile in Paisiello, modella una materia consolidata e affinata in vent’anni di teatro, senza cedimenti improvvisi o debolezze. Un microcosmo fatto di cadenze di malinconici abbandoni nei ruoli dei due sposi segreti, di esplosioni di vitalità, come nella baruffa finale del primo atto, di fedeli accenni a contesti e comportamenti di un repertorio ormai dominato. L’invenzione melodica è costante, corregge l’eccedente, si insinua nei meandri della commedia, attraversandone anche gli angoli più insoliti. Una raffinata strumentazione plasma l’orchestra negli spunti lirici come in quelli più soffusi, più lenti, creando figurazioni composite, evocando la convenzione nella sovrapposizione alle voci; partecipa emotivamente delle arie come degli ‘assiemi’. Taluni stilemi settecenteschi recuperano nuovo vigore: l’allegro cantabile della prima aria di Geronimo, “un matrimonio nobile / per lei concluso è già”, contiene un affascinante tema di violini e oboi che sottendono il sillabato del ricco mercante; mentre i due atti sono attraversati da due poderosi pezzi d’assieme: il quartetto “Sento in petto un freddo gelo” nella scena VIII del primo atto e il quintetto “Deh, lasciate ch’io respiri” nella scena XIV del secondo, a testimonianza di un bilanciamento strutturale abbastanza fuori dalla prassi. Altri tratti stilistici aprono al futuro. Il pregevole duetto “Se fiato in corpo avete” all’inizio del secondo atto rivela subito il debito di Rossini che lo stesso musicista pesarese era ben lieto di ammettere. I tre accordi ‘rituali’ iniziali dell’Ouverture evocano inevitabilmente l’apertura de Il flauto magico che Cimarosa aveva certamente ascoltato di recente a Vienna e alle cui motivazioni profonde, alle cui radici ‘segrete’ massoniche, egli pure aderiva. Anche Le nozze di Figaro apparivano qua e là in trasparenza. II respiro del genio mozartiano rimaneva nella freschezza e nella gioia di vivere che il compositore campano aveva profuso nel Matrimonio segreto, e che fece dire a Stendhal: “La mia vita fu rinnovellata, e sparì per sempre il disinganno di Parigi. Avevo chiaramente compreso dove fosse la felicità … l’effetto della musica del Matrimonio segreto è di farmi trovare meno ostacoli in tutto”.
      Napoleone, grande estimatore di Cimarosa, chiese un giorno ad André Grétry quale fosse la differenza tra Cimarosa e Mozart, al quale veniva spesso paragonato. Grétry rispose: “Sire, Cimarosa colloca sempre la sua statua sulla scena e il piedistallo nell’orchestra, mentre Mozart pone la statua nell’orchestra e il piedistallo sulla scena”. Cosa avesse capito Napoleone a quella risposta, non è dato sapere.

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