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La Coscienza dell’ attore

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  • Date 24 Ottobre 2009
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Comunemente siamo stati abituati a vedere nel Teatro solo l’ esteriorizzazione di un personaggio, fatta di gesti, mimica e intonazioni vocali che altro non sono se non la superficie dell’ attore: la maschera. Ed è così che ci siamo abituati a vedere gli attori agitare confusamente le mani nell’ aria, dandoci spesso

l’ impressione di tagliarla a fette come fosse un salamino; o aggirarsi incerti sulla scena senza sapere che fare e sempre alla ricerca di un’ azione autentica che non arriva mai; o ancora, contorcersi il volto esasperando le espressioni e la mimica fino al punto di diventare delle buffe e inconsapevoli caricature di se stessi.
La verità è che nessuna delle migliori intenzioni può risolvere queste grossolanerie se ci si concentra solo sull’ apparenza dell’ attore, sulla sua figura. Ciò che è necessario è connettere ogni singola azione con l’ interiorità dell’ attore lasciando che, a partire dalle emozioni e dai sentimenti, affiorino spontaneamente tutti i gesti e le movenze, la mimica e le intonazioni vocali. Il palcoscenico richiede che tutto ciò che avviene su di esso sia fatto solo perché necessario; e dunque, per l’ attore è indispensabile riuscire a trovare in se stesso la necessità di fare tutto quel che farà sulla scena. Una smorfia, un sussurro, un grido, una risata, una carezza, uno schiaffo, tutto va fatto solo se si arriva a sentire il bisogno di farlo. Ogni azione deve essere della massima urgenza, della massima importanza; tutto il superfluo, invece, è da scartare.
Facciamo un esempio. Spesso un attore crede che per fare una scena di dolore gli occorra gridare a pieni polmoni fino a bruciarsi le corde vocali, dimenandosi convulsamente e strappandosi i capelli; solo così – dice tra sé e sé – potrà rendere l’ idea del dolore. Ma se invece di far tanto scompiglio egli si fermasse ad ascoltare il suo proprio dolore, quello autentico, potrebbe meravigliare se stesso e il pubblico mostrando che, nel rimanere fermo e parlando con un filo di voce, senza disperdere le sue forze e le sue emozioni, anzi, al contrario, concentrandone l’ attenzione in un unico e specifico punto, quel dolore può uscire davvero fuori per essere poi lanciato come un brivido che trapassa sia gli attori sia gli spettatori.
Vogliamo ora condividere delle riflessioni sul Teatro leggendo insieme alcuni spunti fondamentali di Stanislavskij (attore, regista e pedagogo russo di cui, per chi non lo conoscesse, è sufficiente dire che può essere considerato a buon diritto il padre della Regia); nelle seguenti parole risuonano gli aspetti essenziali dell’ arte e del senso teatrale. Ed è dalla stessa radice da cui attinse il maestro russo che noi dell’ Accademia Ars Antiqua ci prefiggiamo di attingere la nostra linfa vitale.
"Prima di tutto la creazione deve essere cosciente e giusta. Ciò creerà il terreno migliore per il nascere del subcosciente e dell’ispirazione. […]
Perché ciò ch’ è giusto e cosciente produce il vero e il vero porta alla convinzione, e se la natura crede a quello che succede nell’uomo, interviene spontaneamente. E dietro la natura interviene il subconscio e forse anche l’ ispirazione. […]
Ma che cosa vuol dire recitare nel modo giusto?
Vuol dire: pensare, volere, desiderare, agire, esistere, sul palcoscenico, nelle condizioni di vita di un personaggio e all’ unisono col personaggio, regolarmente, logicamente, coerentemente e umanamente. Appena l’ attore ha raggiunto tutto questo comincia ad avvicinarsi alla parte e compenetrarsene.
Questo significa rivivere una parte. Questo processo e la parola che lo definisce reviviscenza hanno nella nostra scuola un’ importanza assoluta.
Rivivere una parte aiuta l’ attore a realizzare lo scopo fondamentale dell’ arte teatrale, cioè la coscienza di una vita spirituale in ogni parte, e della necessità di comunicare questa vita, dalla scena, in forma artistica.
Come vedete, il problema importante per noi non sta solo nell’ immaginare la vita della parte nelle sue manifestazioni esteriori, ma soprattutto nel creare in scena la vita interiore del personaggio e del dramma, adattando a questa vita estranea, i nostri sentimenti personali e tutti gli elementi vitali della nostra anima.
E ricordate, una volta per sempre, che questo è lo scopo principale e fondamentale della nostra arte, che ci deve guidare in ogni istante di vita e di creazione, sul palcoscenico. Ecco perché noi, prima di tutto, ci occupiamo dell’ aspetto interiore di un personaggio, cioè della sua vita psichica, creata con l’ aiuto del processo interiore in cui si rivive la parte. E’ un momento fondamentale della creazione, la prima preoccupazione dell’ attore. Bisogna rivivere una parte, provando realmente sentimenti analoghi ad essa ogni volta che la si ripete.
Il grande attore deve sentire veramente quello che immagina – dice Tommaso Salvini. Io dirò di più. L’ attore deve sentire sempre, non una volta o due, mentre studia, ma, in grado maggiore o minore, ad ogni rappresentazione, sia essa la prima o la centesima. Ecco come s’ intende l’ arte nel nostro Teatro. […]
Il fine della nostra arte non è solo creare la vita spirituale e umana di una parte, ma anche comunicare esteriormente, in forma artistica, il problema che le corrisponde. L’ attore dovrebbe non solo rivivere interiormente la parte, ma anche incarnare esteriormente quello che ha vissuto. Per questo, notate bene, la necessità di trasmettere esteriormente la parte rivissuta interiormente, nella nostra tendenza artistica è particolarmente forte. Per trasmettere la vita interiore, così sottile a volte, da essere inesprimibile, bisogna possedere apparati sonori e fisici sensibilissimi e perfettamente allenati. Voce e corpo devono comunicare con precisione, immediatezza ed estrema esattezza, sensazioni interne, sottilissime e quasi inafferrabili. Ecco perché l’ attore della nostra scuola deve, molto più di quelli di altra tendenza, preoccuparsi non solo dell’ apparato interiore che presiede al processo in cui si rivive la parte, ma anche dell’ apparato fisico esteriore che deve comunicare esattamente il risultato del lavoro creativo del sentimento, e la forma esteriore della sua incarnazione.
L’ influenza che su questo lavoro il subcosciente è enorme. Nemmeno la più abile tecnica teatrale può sostituirlo, anche se talvolta ha la presunzione di sentirsi superiore. […]
Noi crediamo, e l’ esperienza ce l’ ha confermato, che solo un’ arte satura delle esperienze dirette e vitali dell’ attore può trasmettere le impalpabili sfumature e tutta la profondità della vita interiore di un personaggio. Solo quest’ arte può avvincere lo spettatore e costringerlo non soltanto a capire, ma a rivivere tutto quello che si compie in scena; può arricchire la sua esperienza spirituale e lasciare in lui tracce indelebili.
Inoltre, ed anche questo è importantissimo, i princìpi fondamentali della creazione e le leggi della natura, preservano l’ attore da facili deviazioni. […]
Se voi conoscerete perfettamente i limiti della vera arte e le leggi organiche della natura non tralignerete e riuscirete ad individuare i vostri errori e a correggerli. Senza tali basi, vi confonderete."
In conclusione, vogliamo ricordare che il Teatro non è un fine bensì un mezzo, efficace e potente, che ha lo scopo di attuare la coscienza viva dell’ essere umano.

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